L’ALTRO PIEMONTE

24 Giugno 2023

CONVENTION NAZIONALE DONNE DEL VINO 2023

La Convention nazionale delle Donne del Vino 2023 è stata organizzata dalla Delegazione del Piemonte ed ha proposto alle tante socie, pervenute dalle varie regioni italiane, di esplorare tragitti inediti rispetto a quelli convenzionalmente legati al mito del vino piemontese.

Terra di cascine e colline, vini di orgoglio varietale e pietanze golose, l’Alto Monferrato è stato il palcoscenico di questo meeting, tra le sue distese di vigne, nocciole e boschi che lambiscono i borghi, in una campagna punteggiata da castelli medioevali ed antiche strutture in pietra arenaria.

L’Alto Monferrato, per secoli sotto il dominio della Repubblica di Genova, oggi vive un momento di meritata rivalsa.

La nuova hôtellerie ha restaurato ville e cascine, le strade del vino si sono articolate attraverso percorsi enoturistici tra panorami mozzafiato, parchi naturali e cangiante biodiversità.

A completare il quadro un microclima benevolo, reso tale dal vento marino proveniente dal Mar Ligure, che incrocia le sue folate con l’aria fresca dell’Appennino.

La nostra Convention si è articolata nei giorni tra il 15 ed il 19 giugno  in un percorso alla scoperta di luoghi e sapori, reso denso e proficuo dall’alto livello formativo messo in campo dalle organizzatrici.

Quinta edizione del raduno nazionale ed ennesima occasione per godere del privilegio della condivisione e focalizzare l’esperienza sul concetto cardine di “rete” che, nel caso della nostra associazione, è sinonimo di alleanza umana e professionale tra donne che insieme imparano ad elevarsi a potenza.

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Il viaggio studio ha proposto l’esplorazione dell’anima bianca di questo lembo sud-orientale piemontese, attraverso l’approfondimento delle sue uve più rappresentative: Cortese e Timorasso, nonché la dolce scoperta del suo profilo aromatico più esclusivo, con il Moscato ed il Brachetto, interpretati con orgoglio dall’azienda Marenco di Strevi.

Le “cattedrali sotterranee” dell’azienda Bosca, a Canelli – dove 200.000 bottiglie riposano sui pupitres – ed il poderoso Forte di Gavi, hanno completato il quadro delle più suggestive location di questa nostra avventura.

Una volta assaporato l’Alto Monferrato, le Donne del Vino si sono dirette verso Nord – a Stresa – tra gli incantevoli paesaggi del Lago Maggiore ed i luoghi di produzione tipici dell’Alto Piemonte.

Un percorso consistente capace di esaltare rotte meno scontate e blasonate, ma dall’indiscutibile appeal.

Personalmente ho avuto il piacere di partecipare alla prima fase dell’evento, dando modo alla mia “anima bianchista” ed al mio 50% di sangue piemontese di trovare casa.

Non può che essere carico di entusiasmo – dunque – il racconto della mia esperienza con i due vitigni a bacca bianca protagonisti di questo scorcio di Piemonte: il Cortese ed il Timorasso.

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Il Cortese è una varietà che ha vissuto fasi alterne nei cuori e nei mercati italiani, con picchi di notorietà tra gli anni ’60 e ’70 ed un periodo di oblio nel decennio a seguire.

Oggi il Cortese è tornato ai suoi fasti, sostenuto dall’esperienza pregressa e da nuovi produttori che lo hanno riportato alla sua essenza: quella di grande vino bianco italiano.

Dalle uve di Cortese in purezza nasce un prodotto dal profilo olfattivo delicato, dall’alta acidità, idonea anche alla spumantizzazione, una reale mineralità ed un notevole potenziale evolutivo.

Si tratta di un vitigno vigoroso, resistente ai climi freddi e molto produttivo, della cui presenza si hanno testimonianze già a partire da XVII secolo.

La sua prima descrizione ampelografica risale al 1799, redatta per conto della Società Agricola torinese.

Si tratta di una varietà simbolo del Piemonte, la più allevata nella provincia di Alessandria.

Il grappolo e le bacche sono medio-grandi, con bucce sottili sensibili all’attacco della muffa grigia nei periodi più umidi e piovosi. La maturazione avviene a metà settembre.

Il Cortese è caratterizzato da una vasta biodiversità: sono stati descritti ben 75 biotipi diversi e certificati più di 30 cloni, attualmente in commercio.

Il Cortese è l’uva del Gavi, il più famoso vino ottenuto da questa varietà.

Gavi è uno degli 11 Comuni votati alla sua produzione; insieme a San Cristoforo, Serravalle Scrivia e Tassarolo è uno degli areali in grado di esprimere maggiore eleganza e longevità.

A Gavi i suoli sono caratterizzati da marne bianche calcaree, capaci di regalare ai vini finezza e profondità, mentre in direzione Tassarolo aumenta la percentuale di argilla, con relativi vini più ricchi e meno indirizzati alla struttura minerale.

Si tratta di una macrodistinzione, perché il territorio di Gavi è ancora più complesso di come appena descritto. 

La sottozona di Rovereto, per esempio, si contraddistingue per le sue marne argillose ricche di contenuto ferroso.

Le affascinanti sfumature derivate dai differenti suoli produttivi si sono palesate ai nostri sensi attraverso l’assaggio di vini dalla personalità palesemente difforme: dal Gavi Docg “11” di Biné – verticale e sapido, al Gavi Docg “Etichetta Nera” del Poggio di Gavi, molto più avvolgente e cremoso, marcato dallo svolgimento pieno della malolattica.

Non sono mancate le bollicine a base di Cortese, tra cui il Gavi spumante Docg de La Mesma: un metodo classico non dosato di notevole eleganza, con 68 mesi di sosta sulle fecce.

A completare il quadro, le espressioni di Gavi più “evolute”, di cui voglio segnalare il Gavi Riserva DOCG Vigna della Rovere Verde 2017 de La Mesna e – agli antipodi – il Pisè 2019 de la Raia, con maturazione in botte, pratica condivisa da sole 3 aziende in questa zona.

Gavi è un piccolo comune italiano di 4472 abitanti situato sulla destra del torrente Lemme; dista  circa 40 km da Alessandria, 60 km da Genova e 140 km da Torino.

Si racconta che il suo nome sia legato alla figlia del re dei Franchi Clodomiro: la principessa Gavia. Ella si rifugiò nel borgo perché costretta a fuggire da casa a causa di un amore non gradito a corte, nascondendosi, con l’aiuto del Papa, insieme all’uomo che amava. Da allora quel luogo prese il nome di Gavi, in suo onore, e l’uva tipica di quel paese fu chiamata Cortese proprio in riferimento ai modi gentili ed affabili della giovane principessa.

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Ed ora spostiamoci leggermente più a Nord, nei Colli Tortonesi, cuore produttivo del Timorasso che – confesso – è un’uva che amo profondamente.

Difficile e controversa, caratterizzata da valori analitici sorprendenti, il Timorasso è un’uva capace di regalare vini da evoluzione, intensamente materici, ma anche minerali ed erbacei.

E’ possibile paragonare il Timorasso ad un Riesling del Nahe, con cenni tiolici che ricordano il più tipico dei Sauvignon.

Una grande uva, insomma, che ha cominciato il suo percorso di affermazione grazie agli sforzi del “vignaiolo visionario” Walter Massa, nei primi anni ’80. 

Fino all’inizio del nuovo millennio veniva prodotta solamente da lui e da altri due produttori. 

Oggi i soci del Consorzio sono 94 e gli ettari coltivati sono saliti a 330. 

Un dato incoraggiante se si pensa che nel 1987 erano solamente 0,5.

La DOC Colli Tortonesi, con le sottozone Monleale – comune maggiormente vitato – e Terre di Libarna, contempla un areale di produzione distribuito su 6 valli, dalle caratteristiche ben distinte.

Di futura approvazione la sottozona Derthona si paleserà con tre tipologie di vino: Piccola Derthona, Derthona e Derthona Riserva.

Questo nome ci riporta alle origini romane delle città di Tortona, fondata più di 2000 anni fa.

Nomen omen, atto a sancire il profondo legame del vino con la sua terra d’elezione.

Il Consorzio è costituito esclusivamente da aziende agricole concentrate sulla produzione di qualità, unite da un principio di mutuo sostegno e da un codice etico ben preciso. 

Viene condivisa, per esempio, l’indicazioni sul peso della bottiglia, che non deve superare i 600 grammi.

Il disciplinare di questa Doc nasce da un capillare studio di zonazione, esclude l’allevamento di fondovalle, e fissa le rese massime a 75 q/ha.

L’area produttiva di riferimento si presenta estremamente siccitosa, tra le più aride d’Italia.

Si estende per 40 km in un bacino produttivo condiviso da 46 Comuni, parecchi se si pensa che a Barolo sono 11, mentre a Barbaresco solo 4.

La zona beneficia di una preziosa biodiversità dove la vigna è incastonata tra boschi, piante arboree, frutteti e campi di cereali.

Il profilo geologico di questa terra è il medesimo dell’area del Barolo, dato che ci troviamo nel

Bacino Terziario Piemontese, con substrati più o meno recenti, e quindi molto distinti tra loro.

Dove una volta c’era il mare, ora si trova la Marna di Sant’Agata: un terreno sedimentario argillo marnoso grigio bluastro, ricco di zolfo e litio.

Nella parte settentrionale dei Colli Tortonesi le altitudini sono più basse con conseguenti substrati più recenti, l’area centrale è il fulcro della genesi marina, mentre il lembo più meridionale rappresenta la zona più alta.

Il Timorasso ha origini antiche, originariamente piantato in Liguria è diventato una delle uve più allevate in Piemonte per la produzione del vino “Torbolino”. 

Si dice che Leonardo Da Vinci amasse molto questo vino arrivando a regalarlo ad Isabella d’Aragona in occasione delle sue nozze, come abbinamento più idoneo al Montebore, tipico formaggio locale dalla forma di torta nuziale.

Il Timorasso è un’uva facile da riconoscere: all’interno del medesimo grappolo possono coesistere bacche dalle dimensioni differenti, con conseguenti fasi di maturazione asincrone.

Questo è solo uno degli aspetti che rendono questa uva estremamente difficile da coltivare.

Si tratta di un grappolo compatto dalla buccia sottile, che si scotta ed avvizzisce facilmente, nonché di una varietà poco produttiva, piena di polloni e caratterizzata da affastellamento vegetativo.

La contropartita di tutte queste avversità sono i suoi parametri analitici, decisamente eccezionali: 13,5/14 di alcool potenziale, pH intorno a 3, acidità totale di 7 gr/l.

In sostanza stiamo parlando di un’uva che richiede una cura spasmodica, in grado di premiare il viticoltore devoto con vini di sorprendente complessità.

In gioventù sono croccanti ed agrumati, caldi, ma vivacizzati da una vibrante acidità, molto minerali e persistenti; con il tempo sviluppano sentori evolutivi di nocciola tostata, miele, idrocarburo e pietra focaia.

Tra gli assaggi più coinvolgenti: il Dertona Quadro 2019 di Vigneti Repetto – l’azienda che ha ospitato la nostra Masterclass sul Timorasso – ed il Montino de La Colombera, che ho amato soprattutto nella sua espressione del 2015.

Questo articolo non può volgere al termine prima che un pensiero di gratitudine e stima venga da rivolto alle socie della Delegazione Piemontese delle Donne del Vino, che hanno riservato ad ognuna di noi un’amabile accoglienza e che hanno intriso questa esaltante esperienza del loro contagioso entusiasmo.

Grazie di cuore a tutte voi, alla Delegata “condottiera” Ivana Miroglio ed alla vulcanica Francesca Poggio, vicedelagata nazionale.

Ci vediamo l’anno prossimo, pronte a saggiare insieme nuove eccellenze italiane.

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