Nel nostro Paese si produce vino in tutte le Regioni ed ogni località è capace di regalare un panorama varietale che ci rende unici al mondo.
Alcuni vitigni vengono banalmente definiti “minori” perché mai annoverati nella lista delle (presunte) migliori varietà italiane.
Negli ultimi anni c’è stata una riscoperta del patrimonio autoctono e la tendenza del bere si è praticamente sovvertita.
Si sta progressivamente affermando, inoltre, la richiesta di vini dinamici e versatili, che lasciano alle spalle l’egemonia dei vini opulenti, dalla marcata carica estrattiva.
Sull’ onda di queste sensibilità contemporanee, desidero parlarvi di una varietà che – dal mio punto di vista – è tra le più interessanti e sottostimate del Belpaese.
Un’uva capace di regalare nettari eleganti e vibranti, che ammaliano con la propria originalità.
Di cosa sto parlando?
Del CILIEGIOLO
Sia le sue bacche – grosse e sferiche – che i suoi vini profumano di ciliegia rossa e succosa, da qui il nome.
Il grappolo è largo, compatto e pesante, dalla forma cilindrico piramidale, molto sensibile all’attacco delle muffe, ma resistente alla siccità.
L’acino è medio-grosso, con buccia molto pruinosa di medio spessore, dal colore blu-violaceo.
La maturazione è medio-precoce, tendenzialmente tra fine agosto ed inizio settembre, ed è un vitigno duttile, vigoroso ed affidabile.
Gli acini tendono facilmente ad ingrossarsi, per questa ragione, il Ciliegiolo richiede di esser allevato su terreni perfettamente drenanti, in posizione collinare, accarezzato da venti miti e sostenuto da un clima caldo e secco.
Il vigore vegetativo va tenuto a bada.
I migliori vini derivano dai vitigni più vecchi, con sistemi radicali profondi.
Il Ciliegiolo è un eccellente esempio di come una specifica varietà regali il meglio di sé contestualizzata nel proprio habitat ideale: c’è una ragione, d’altronde, se le uve vengono considerate native, tipiche o locali!
Il Ciliegiolo fu descritto per la prima volta dal Soderini nel 1600 e, nel corso del tempo è stato spesso confuso con il Sangiovese, nonostante le due varietà generino declinazioni in purezza nettamente divergenti.
Sangiovese e Ciliegiolo hanno condiviso ampie aree di coltivazione per secoli.
A Montalcino il Ciliegiolo era presente in abbondante quantità, e veniva chiamato in passato “Brunellone”. Nonostante i vini da Ciliegiolo risultassero instabili, a causa di un pH alto, i contadini di Montalcino lo hanno sempre sfruttato per la sua capacità di incrementare colore e profumo.
In ogni caso Ciliegiolo e Sangiovese sono certamente legati da una parentela: secondo un’analisi del DNA del 2007 (Di Vecchi, Staraz, Bandinelli, Boselli, This, Bousiquot, Laucou, Lacombe, Varès) il Ciliegiolo è il risultato dell’incrocio intraspecifico Sangiovese X Moscato Violetto.
Secondo un trattato del 2012 (Bergamini, Caputo, Gasparro, Perniola, Cardone, Antonacci) il Sangiovese è il risultato dell’incrocio tra Ciliegiolo X Negrodolce.
Stabilire chi sia il padre e chi sia il figlio non è ancora chiaro, quindi.
Certamente si può affermare che il Ciliegiolo non abbia nulla a che fare, geneticamente parlando, con l’Aglianico o con il Montepulciano, come a volte si è sentito affermare.
È iscritto al Registro Nazionale delle Varietà di Vite dal 1970.
Si tratta del secondo vitigno più piantato in Toscana, presente anche il Umbria, Lazio, ed in minima parte in Liguria e Puglia.
Applicando una vinificazione convenzionale, dà origine a vini delicati e fruttati, caldi e morbidi, leggermente carenti in acidità, dal tannino soffice. Il profilo olfattivo risulta giovane e croccante, dominato dai frutti rossi e dalle naturali note speziate, pepe bianco in testa. Si tratta di piacevoli vini dal consumo immediato, ma di certo non banali, dalla generosa abbinabilità a tavola.
Esistono versioni in purezza, però, capaci di esaltarne lo spessore qualitativo, ed ora vi racconterò proprio di questo.
Venite con me in quel meraviglioso polmone verde dell’Umbria, nella parte più meridionale, e fatevi condurre nella provincia di Terni, centro geografico della penisola italiana.
La natura che ci accoglie è di incomparabile bellezza.
La storia che vi voglio raccontare comincia nel 2014, anno di nascita dell’Associazione Produttori Ciliegiolo di Narni, ed è interpretata da sette aziende del territorio, le quali dedicano più di 20 ettari complessivi alla coltivazione di questo varietale.
L’ambizione dell’Associazione è quella di ottenere il riconoscimento della DOC del Ciliegiolo di Narni.
A guidare ed ispirare il gruppo c’è il giovane e visionario vignaiolo Leonardo Bussoletti.
Secondo Leonardo il Ciliegiolo ha trovato il suo habitat ideale in questa zona a partire dal lontano 1200, come attesta il recente ritrovamento di svariati documenti storici.
Abbiamo di fronte un produttore dalle idee chiare e la passione travolgente, che ha fatto del Ciliegiolo il protagonista assoluto del proprio progetto vitivinicolo.
Inizialmente è stato preso per pazzo, ora il suo successo viene globalmente riconosciuto, sia dai mercati che dalle guide di settore.
La sua azienda aderisce al circuito FIVI.
Dopo 10 anni di selezione del clone più idoneo alla coltivazione locale, in collaborazione con il Prof. Valenti dell’Università di Milano, Leonardo individua il biotipo ideale ed avvia la sua produzione.
Nella cantina, ad oggi, continuano a susseguirsi incessanti i progetti di ricerca e sperimentazione.
Gli ettari di proprietà sono attualmente 9, tutti consacrati all’agricoltura biologica, distribuiti nella provincia di Terni tra le zone di San Gemini – dove ha sede la Cantina – Narni, Alviano e Penna in Teverina.
Diversi territori dalle variegate caratteristiche: elementi costitutivi di una tavolozza che Leonardo usa per dipingere le sue creazioni.
Per quanto riguarda il suo amato Ciliegiolo, le versioni sono ben 5: dal Rosato alla Selezione.
Le ho assaggiate tutte in un percorso evolutivo cangiante e coinvolgente.
Sapete quale referenza mi ha rapito maggiormente?!
LEONARDO BUSSOLETTI – RAMICI 2019 / 2018 – IGP UMBRIA (presto DOC Ciliegiolo di Narni?) – 100% Ciliegiolo
Località Ràmici è una campagna principalmente sabbiosa vicino alle sponde del Tevere, in zona Alviano. Da questo tipo di suolo nasce un Ciliegiolo di Narni elegante e sottile, prodotto da vigne di 50 anni allevate a doppio cordone speronato. Siamo a 200 metri sul livello del mare, con esposizione a sud.
Le uve vengono vendemmiate manualmente e vinificate in serbatoi di acciaio troncoconici, ideati appositamente da Leonardo.
Il 30% della massa è mantenuto a grappolo intero ed il piede di fermentazione viene ricavato dal singolo vigneto. La maturazione si sviluppa in tonneau per 12 mesi e in barrique di rovere francese per un altro anno. Seguono 8/12 mesi di elevazione in bottiglia.
Si tratta dell’unico effettivo “cru” aziendale, prodotto in 3000/3300 bottiglie annue.
Sfoggia una veste rubino ed un corpo sottile e sontuoso.
Il naso non è di certo esplosivo, ma sussurra aromi puri di piccoli frutti di bosco rossi, amarene, pepe bianco, radici e cenni per nulla invasivi di vaniglia.
Il sorso regala una geometria tutta sua: entra dinamico e snello per poi allargarsi nel centro bocca conferendo sapore di spezia e pienezza balsamica. La carezza del giovane e delicato tannino arricchisce il volume, senza mai esagerare. Il finale torna ad essere verticale, ma particolarmente lungo e suggestivo: intriso di sapidità e quasi piccante, a mio avviso.
Una percezione globale vibrante, pulita, divertente.
Un vino avvolgente e fragrante, mai invasivo.
La 2019, ultima annata in commercio, è figlia di un andamento climatico caldo ed è certamente più timida, chiusa e contenuta della smagliante 2018, dal sorso più dichiarato, espressivo, ampio e palesemente più fruttato.
Che dire quindi di Leonardo Bussoletti?!
Nelle sue “visioni” troviamo un savoir-faire che profuma di territorio, determinazione, rispetto per terra ed amore incondizionato per l’arte.
Senza ombra di dubbio uno dei più attivi protagonisti della recente ascesa dell’enologia umbra, alla quale spetta la centralità che di certo merita!